Il successo della fiction televisiva come di altre serie, italiane e straniere, che trattano di medicina legale con le donne protagoniste, conferma che questa disciplina medica oggi è declinata prevalentemente al femminile e che autopsie e dissezioni di cadaveri si tingono sempre più di rosa. Spesso le donne si rivelano addirittura più brave degli uomini proprio nel settore della medicina apparentemente meno femminile, un ambito peraltro che offre buone possibilità di lavoro alle neolaureate. Sempre più donne intraprendono la coraggiosa strada della medicina legale superando di gran lunga la componente maschile, soprattutto in relazione al desiderio di verità, per gli episodi di donne violentate, di bambini maltrattati, di cadaveri di migranti ai quali bisogna dare un nome.
È vero che lavorare nell'asettico scenario di una sala mortuaria, fare un'autopsia, «l'ultima indiscrezione del medico», a detta dello scrittore francese Michel Zamacoïs, richiede un animo "duro", poco impressionabile, un forte distacco emotivo e una certa freddezza; si passano le giornate a esaminare su tavoli d'acciaio i corpi di vittime di delitti e di violenze di vario genere, cadaveri sconosciuti, e spesso martoriati, prelevati dalle celle frigorifero, e sembra strano che un lavoro così particolare possa riscuotere l'entusiasmo e la passione delle donne, alle quali può anche toccare di recarsi personalmente sul luogo del crimine. Ma è errato pensare che le donne siano sentimentalmente fragili, impressionabili, molto partecipi emotivamente, quindi inadatte a questa professione.
Oggi si assiste, infatti, a un trend opposto: le donne, sia fresche di laurea sia quelle anni di carriera alle spalle, si rivelano sorprendentemente chiamate a svolgere questo lavoro. Dietro le autopsie, ma anche dietro le perizie giudiziarie e assicurative, che richiedono calma, pazienza e rigore di metodo, si celano segreti e misteri che affascinano le donne non meno della ricerca della verità. Arrivare alla verità nel caso di persone identificate, dare un nome e cognome, quindi assegnare un'identità, a persone sconosciute: questo l'obiettivo che si agita nel cuore delle dottoresse legali, che mi fa venire a mente le parole di Magdeleine Hutin, la monaca fondatrice delle Piccole sorelle di Gesù, scomparsa nel 1989: «Se un giorno mi facessero l'autopsia sono sicura che troverebbero tracce della tensione terribile causata dal dolore di ogni partenza».
Le donne sono non solo "infermiere nate", come giustamente sosteneva un secolo e mezzo fa Florence Nightingale, la madre della moderna scienza infermieristica, ma sono spesso dedite alla cura amorevole e paziente della persona, l'essere umano, chiunque esso sia, vivo o defunto, ma pur sempre creatura degna di rispetto e di attenzione.